Berlusconi ed il disastro economico

Lo spread schizzato a 410 punti, gli interessi sui titoli di Stato decennali al 6,18%, la Borsa crollata del 3,82 – sono questi i numeri che hanno scandito l’ennesimo lunedì nero dell’economia nazionale. Berlusconi ha però rassicurato il Paese affermando che “… queste fibrillazioni non dipendono dalla mia presenza o da quello che sta facendo il governo, che ha imboccato la via giusta. La speculazione ha puntato l’Italia e la risposta che va data deve essere globale, noi non possiamo fare molto di più di quello che stiamo facendo. E sicuramente non potrebbe farlo un altro governo… “.

Poco importa far notare che i dati diffusi sulla crescita della disoccupazione sono drammatici, sopratutto per quanto riguarda i giovani (quasi il 30% di disoccupati), che l’inflazione ha ripreso a galoppare superando il 3% e che questi numeri, inquadrati nella preoccupazione più volte espressa dall’Unione Europea sulla stabilità economica del nostro povero Paese, rendono l’Italia il punto debole da attaccare se si decide di fare la guerra all’Euro.

I punto che il Presidente del Consiglio non tiene in considerazione non è tanto quello che potrebbe fare adesso, ma quello che non ha fatto nei lunghissimi anni di governo assolutista in cui le preoccupazioni per gli affari personali e per la depravazione sessuale hanno dominato le sue azioni, invece di intraprendere una strada virtuosa per assicurare un futuro all’Italia. La sua reputazione internazionale è inoltre giunta ai vertici del ridicolo, assicurando che non è sicuramente lui la persona in grado di portare il Paese fuori dal pantano in cui si trova, rendendo ancora più facile sferrare attacchi violenti alla nostra economia, vista senza una guida credibile e senza un futuro plausibile con le regole internazionali.

Forse Berlusconi passerà alla storia come colui che ha affondato l’Italia, distruggendone ogni principio di credibilità e negando il futuro che invece abbiamo tutti il dovere di garantire alle prossime generazioni e a poco varrà il coro di voci che si leveranno dicendo “lo avevamo detto”. Forse ha ragione Sacconi a temere una rivolta popolare: sarebbe veramente ora.

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