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perchè Assange ha scelto l’Ecuador

Il 3 agosto, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del FMI con il suo ministro dell’economia e il ministro degli esteri ecuadoriano Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana America), l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. La Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al FMI con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, l’Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del FMI che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fossero l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi e siamo in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del FMI e della Banca Mondiale sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi. Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale.”. Subito dopo la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO, coinvolgendo il FMI grazie ai file messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie ad Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone. Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes. Lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come impedire ai governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del FMI il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. Gran parte dei file sono già resi pubblici su internet. Gran parte dei file sono offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador, la prima nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Diritto, la violazione di norme costituzionali”.

Il 12 dicembre del 2008, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (Pil di 50 miliardi di euro, circa 30 volte meno dell’Italia) dichiara in diretta televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”. Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il FMI fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiaraDominique Strauss Kahn, allora segretario del FMI. Il Paese è in ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia che darà il proprio contributo con petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondo) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare subito contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago.
Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale diNew York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. E’ accaduto in Iraq che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’Opus Dei fedele al Vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e aprendo la strada a un precedente storico. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure, se si annulla la decisione dell’Ecuador, allora si annulla anche quella dell’Iraq e il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato, ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nelle banche cattoliche di Quito e dirottarli in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”. Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andato nel pallone. In tutto il pianeta si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi. In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.

Questo, per spiegare “perché l’Ecuador” (…) e perchè Jules Assange ha scelto di rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador. Il colpo decisivo viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti in ogni nazione del globo”. Chi è Garzòn? E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata. E’ il nemico pubblico numero uno dell’Opus Dei (…), che ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”. La battaglia è dunque aperta. E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in Rete. In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi. Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce. Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie. E allora si balla tutti. In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”. Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.

Stralci da un articolo di Sergio Cori Modigliani, scrittore e blogger, pubblicato sul blog di Beppe Grillo

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siamo tutti Julian Assange

Può un hacker essere più pericoloso di un dittatore?

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Censura

Dalla manifestazione pro-Wikileaks a Melborne, Australia

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Lula da l’esempio

Inacio Lula, il Presidente del Brasile, ha dichiarato pubblicamente al sua solidarietà a Julian Assange attraverso il blog della Presidenza della Repubblica (straordinario esempio è anche il fatto che esista un blog di un’istituzione così alta…). Il testo è ovviamente in portoghese, ma ne riporto uno stralcio tradotto:

Il presidente Lula ha dichiarato oggi la sua solidarietá al fondatore di Wikileaks, Julian Assange, arrestato questa settimana […] ed ha criticato la stampa brasiliana per non aver difeso l’attivista australiano e la libertá d’espressione. “Il ragazzo [Assange, ndt] è stato arrestato eppure non vedo nessuna protesta contro la restrizione della libertá di parola” ha detto Lula, prima di esprimere la sua protesta in questi termini:

“Ehi, Stuckert [Ricardo Stuckert, fotografo ufficiale della Presidenza], allora fai cosí, la prima protesta contro la restrizione alla libera espressione, allora, mettila sul blog della Presidenza a nome mio, perché il ragazzo [sempre Assange, ndt] sta solo divulgando cose che ha letto. E se l’ha letto è perché qualcuno l’ha scritto, e allora il colpevole non è chi l’ha divulgato, ma chi l’ha scritto. Quindi, invece di accusare che divulga, accusate chi ha scritto quelle fesserie, perché se non le avessero scritte non avremmo nessuno scandalo. Quindi, a Wikileaks va la mia solidarietá per la divulgazione dei testi e la mia protesta contro la restrizione alla libertá d’espressione.”

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Terzo grado in carcere

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Juian Assange è l’uomo dell’anno

Ha ragione Time Magazine che, come sembra, dedicherà a Julian Assange la copertina di inizio anno che, dal 1927, tradizionalmente elegge l’Uomo dell’Anno per il prestigioso news magazine americano (unica eccezione fu nel 1999 quando la copertina fu dedicata ad Albert Einstein, eletto Uomo del Secolo) . Infatti Julian Assange è certamente una di quelle persone che cambiano le cose nel mondo: il suo Wikileaks ha fatto tremare la società internazionale, convinta dell’inviolabilità del proprio sistema di comunicazione interna e della maniera decadente di intessere relazioni tra le nazioni. Wikileaks ha dimostrato invece la capacità di penetrazione, che arriva a sconsacrare altari mai violati come quello della diplomazia, grazie ad internet e alle tecnologie informatiche.

Per la prima volta l’umanità ha a disposizione una coscienza collettiva, a cui possiamo partecipare o meno, a seconda della nostra volontà, senza obblighi, ma che offre opportunità di accesso alle informazioni, qualsiasi, di ogni genere e di ogni tempo, dando al mondo un accesso mai sperimentato prima alla conoscenza collettiva. Partiamo da questo: Julian Assange ha dato quanto meno la prova di come il web 2.0 sia libero e (non ancora ) soggetto a censure, ed abbia la possibilità di usare la collettività per accedere ad informazioni, anche quelle più riservate.

Non è un caso che, quando si è volontariamente consegnato a Scotland Yard, ieri, dopo essere diventato l’uomo più ricercato del mondo, abbia dichiarato: “E’ un messa in scena politica. Io difendo la libertà, perchè voglio la verità e combatto le falsità dei governi”. I suoi sostenitori, intanto, non si fermano: l’arresto di Assange è un “attacco contro la libertà di stampa e non modificherà i piani per la diffusioni di nuovi documenti”, ha immediatamente commentato il portavoce di WikiLeaks Kristinn Hrafnsson. E mentre un network di hacker ha organizzato un attacco informatico contro PayPal e Postfinance, che hanno bloccato i finanziamenti al sito, prolificano i “manifesti” dei vari gruppi, e alcuni hanno messo online un programma pirata per poter lanciare DDos attack condivisi in ogni luogo del mondo. Dopo Paypal, anche Mastercard e il Il gruppo bancario Visa hanno smesso di accettare transazioni con Wikileaks ed uno dei suoi più importanti donatori, la fondazione Wau Holland, che ha raccolto e trasferito al sito di Julian Assange 750mila euro, ha ricevuto un secondo avviso dal fisco tedesco a presentare la denuncia dei redditi del 2009.

La storia della violenza carnale poi fa acqua da tutte le parti: le due accusatrici avrebbero parlato di “un incidente non consensuale in cui Assange avrebbe fatto sesso con loro senza usare il preservativo”. Da qui l’accusa di stupro. Non ci sono infatti, per ora, altri capi di accusa nei confronti di Julian Assange. In America, Dianne Feinstein, senatrice democratica e presidente del Senate Intelligence Committee statunitense, incalza, sostenendo che quello che Assange ha violato è l'”Espionage Act” del 1917, che definisce delitto grave per un soggetto non autorizzato il possedere o trasmettere “informazioni correlate alla difesa nazionale che il possessore abbia ragione di credere potrebbero essere usate contro gli Stati Uniti o a vantaggio di nazioni straniere”. Per questo: è meglio essere processati in Svezia… mentre il mondo assiste alla dura reazione del sistema all’oltraggio subìto.

Alla prossima puntata, ma io faccio il tifo…

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Assange: ricercato vivo o morto

$ 3,511,674,000. Ecco quanto è costato a Bank of America un semplice sussurro di Julian Assange, secondo AffariItaliani: il 3,18% dell’intera capitalizzazione della banca che nella seduta di Wall Street di ieri (martedì 30 novembre) ha perso quei quattrini, solo perchè Assange ha detto in una intervista a Forbes che nei suoi piani c’era di rilasciare, a partire dal 2011 una serie di files comprovanti le pratiche poco etiche di una delle maggiori banche americane. Files che provenivano direttamente dall’hard disk di un funzionario di livello di tale banca. Siccome la rete ha memoria e non perdona, subito qualcuno si è ricordato che in una intervista precedente lo stesso Assange aveva dichiarato di essere in possesso di ben 5 gigabyte di file riguardanti Bank of America. Da qui la corsa ieri degli operatori finanziari a vendere il titolo. E questa è la dimostrazione, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno del potere che ha raggiunto Wikileaks.

Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul fatto che Assange avesse davvero in mano del materiale così compromettente da mettere a rischio lo stato più potente della terra, ebbene ora quel dubbio se lo può togliere. Abbiamo già sotto gli occhi la caporetto diplomatica globale che si sta delineando in questi giorni, cioè da quando Wikileaks ha cominciato a pubblicare i primi (di tanti non ancora pubblicati) dei cablogrammi diplomatici ottenuti chissà come dalla rete segreta SIPRNET in uso ai dipartimenti miltari e di stato americani.E’ bastata la pubblicazione di pochi di essi per scatenare un putiferio mondiale: chissà cosa succederà quando nei giorni a venire  verranno pubblicati, sempre a tranches, il resto dei cablogrammi.

La partita in realtà era cominciata nei mesi scorsi con la pubblicazione dei documenti relativi alla guerra in Afghanistan, che misero in serio imbarazzo gli USA, costretti a far fronte allo sbugiardamento pubblico dei dati sino ad allora da loro comunicati sui risultati dell’offensiva contro i Talebani, per poi proseguire con la pubblicazione di un video relativo all’uccisione accidentale di giornalisti in Iraq da parte di un elicottero Apache.

In tutto il mondo, ma negli Stati Uniti in particolare la gente è spaccata a metà: c’è chi vuole eleggere Assange come l’uomo dell’anno e chi contemporaneamente scrive editoriali su giornali chiedendosi il perchè il governo USA non ne abbia ancora ordinato l’esecuzione extra-giudiziale. Hillary Clinton, come mostrato dai documenti pubblicati da Assange, da un lato ha ordinato ai suoi diplomatici di trasformarsi in emissari del KGB dei tempi peggiori spiando i rappresentanti dell’ONU, mentre dall’altro oggi sta cercando il modo, con l’aiuto di parecchi senatori, di trovare il modo di accusare Assange… di spionaggio. Che facciatosta!

Qualcuno fortunatamente ribatte riportando la memoria ai tempi di Nixon quando il New York Times pubblicò dei documenti riservati relativi alla questione del Vietnam, ottenuti illegalmente da un funzionario del Pentagono. Nixon cercò di incriminare sia il giornale che la sua fonte ma alla fine la Corte Suprema riconobbe che l’appello al primo emendamendo da parte dei difendenti aveva titolo, perchè la costituzione garantisce la libertà di espressione. Anche quando questa nuoce (come successe effettivamente) agli interessi del proprio governo. Chissa che dagli USA non arrivi a tutto il mondo un’altra lezione di democrazia…

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